domenica 8 settembre 2013

Il Fiscal Compact sarà macelleria sociale per 20 anni


Mentre i grandi manovratori ci imbambolano con IMU ed IVA, tramortendo gli statali con il blocco degli stipendi, in pochi accennano al Fiscal Compact.
Forse perché il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria (questo il vero nome) è stato promulgato  il 29 luglio del 2012, da un governo di larghe intese, con buona pace di tutti. Ora nessuno ne parla, come a cercare di nascondere la malefatta.  Eh si perché il provvedimento limita, almeno per i prossimi 20 anni, la sovranità dei singoli paesi che lo accettano in materia di politica economica e sociale. Il punto centrale del Fiscal Compact prevede infatti l’impegno ad introdurre, entro un anno dall’entrata in vigore del trattato la ‘regola aurea’ per cui il bilancio dello Stato deve essere in pareggio o in attivo. “Qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la misura del 60%, (in Italia siamo al 130%) le parti contraenti si impegnano a ridurlo mediamente di 1/20 all’anno per la parte eccedente tale misura”.

Quindi l'Italia è obbligata al rientro del 50% dell’ammontare complessivo del debito pubblico che eccede il 60% del PIL. Attualmente il nostro debito è pari a a 2.034 miliardi Euro. Che vuol dire, grossomodo, un taglio complessivo di circa 1.000 miliardi di euro (entro il 2043) e quindi una cinquantina di miliardi di euro all'anno. Naturalmente a questo va sommato il pagamento degli interessi sul debito (di circa 95 miliardi di euro all'anno. Fonte: il Sole 24 Ore). Ma non è ancora tutto: il Fiscal Compact viene applicato solo negli anni di non-recessione, così il termine dei vent'anni è destinato a slittare. Il periodo di applicazione sarà molto più lungo. Una prospettiva del genere vuol dire tagli (come se già non ve ne fossero abbastanza) ai servizi pubblici: scuole, ospedali, case popolari, infrastrutture, servizi di assistenza ai malati, ecc. Ma anche impossibilità a creare nuovi posti di lavoro veri. I prossimi governi dovranno svendere il patrimonio pubblico, ad iniziare dalle migliori aziende (poche) rimaste pubbliche, nonché aumentare ulteriormente le tasse e tagliare servizi. La recessione vissuta sinora, sarà nulla in confronto.

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