Brindisi, 19 maggio 2012. Non era mai successo, fa notare qualcuno. Un crimine orrendo,
sottolinea qualcun altro. Non ci faremo intimidire, aggiungono i più.
Come se servisse a qualcosa, come se le parole potessero cancellare la
violenza, la morte, lo sgomento e l'angoscia. La morte di una ragazza
come le altre, la cui esistenza non doveva diventare un ricordo, né men
che mai un simbolo. Lei non doveva essere canonizzata, il suo nome non
doveva finire su tutti i giornali.
Non doveva andare così. E non consoli la reazione, la forza con la
quale l'Italia intera ha reagito, l'affetto sincero con il quale milioni
di ragazzi hanno guardato commossi una foto come tante. Perché è ora di
smetterla di sperare. Questo Paese non ha bisogno di speranza. Non è
così che continueranno a tenerci legati. Non vogliamo più sperare in un
futuro migliore, vogliamo che sia migliore il nostro presente. E non ci
interessa trovare un senso, un messaggio consolatorio in una tragedia
del genere. Tutto questo fa schifo e non significa nulla, se non
l'ennesima vita spezzata, l'ennesima famiglia distrutta, l'ennesima
pagina nera di un Paese dalle mille contraddizioni.
Non dovremmo aver bisogno di sacrifici per sentirci più uniti, per
trovare la forza di resistere. Perché non vogliamo aver paura, non
possiamo aver paura. E al diavolo le parole di circostanza, al diavolo
le frasi fatte, al diavolo gli appelli, le banalità. Oggi siamo
incazzati e non abbasseremo lo sguardo
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