E’ inutile ripeterlo.
Non giriamoci intorno.
La
puzza di bruciato i delegati della rappresentanza militare l’avvertirono già
nel 2009. Ma una delibera di chi rappresenta i Carabinieri non bastava, tanto
che, come spesso accade, qualcuno fece finta di non sentire, e non arrivò
alcuna risposta.
La scena muta delle alte sfere oggi, ha decretato un’altra
morte. La faciloneria dei “ragionieri statali” abituati ai numeri è l’emblema
di un altro fallimento. Ma per comprendere che il servizio di quartiere (e non anche la polizia di prossimità cui viene
ignobilmente accostato), è il più grande abbaglio dell’Arma, occorreva una
vittima? Gli esperti della sicurezza, forse erano, e sono, troppo impegnati col
pallottoliere delle statistiche per ipotizzare il repentaglio gratuito cui i Carabinieri di quartiere sono tuttora sottoposti.
Addossare le colpe alla politica che ha richiesto a
gran voce la nascita dell’agente di prossimità, è una facile scusante. L’Arma
uscì dal cilindro la nefasta invenzione del “Carabiniere singolo” o di “quartiere”
per garantire una maggiore vicinanza (prossimità) al cittadino, tralasciando
ogni congettura sui rischi connessi nel proporre sicurezza in solitaria.
Prima di rendere partecipata la sicurezza con i
cittadini, si coinvolgano i vertici in una reale condivisione, che tenga conto
di valutazioni e mozioni di chi è preposto a rappresentare, imparando a fare i
conti anche, e soprattutto, con la pelle dei militari evitando imbarazzanti silenzi.
Ora, forse, arriverà la risposta a chi chiese nel
lontano 2009 e non ebbe alcuna replica.
Si probabilmente solo ora…
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